La samurai - Gabriele Di Fronzo - Recensione libro

2022-10-22 19:11:21 By : Ms. Elaine Yan

Marsilio, 2022 – Un romanzo non classificabile in un genere. C’è psicanalisi e introspezione, ma è rilevante anche un caso di cronaca nera, una vicenda (omicidiaria?) che attrae magneticamente la gente, nella Torino narrata.

Non ha ancora quarant’anni Gabriele Di Fronzo, collabora con articoli di cultura con le pagine online dell’editoriale Domani e ha scritto racconti, pubblicati su Nuovi Argomenti e Linus. Sei anni fa è passato ai romanzi. Il più recente è La samurai, per Marsilio (maggio 2022, collana Romanzi e racconti, 172 pagine).

Ovviamente, Gabriele legge e non soltanto per passione, anche professionalmente. È lettore editoriale per Einaudi, in pratica è il primo in quella casa editrice a valutare quelle che saranno o non saranno le novità del marchio. È nato nel 1984 a Torino, dove vive. Ha esordito nel 2016 con il romanzo Il grande animale (Nottetempo), che gli è valso il Premio Volponi Opera Prima e due anni dopo, nel 2018, ha pubblicato con Einaudi Cosa faremo di questo amore.

“Delirio onirico”, un “delirio straniante”, “perturbante”: la critica ha espresso questi giudizi sull’ultimo lavoro dello scrittore torinese. Indubbiamente, non è un romanzo semplice e comunque non è classificabile in un genere. C’è psicanalisi e introspezione, ma è rilevante anche un caso di cronaca nera, una vicenda (omicidiaria?) che per l’attenzione spasmodica della stampa attrae magneticamente la gente, nella Torino narrata.

Non è simpatica Veronica la Samurai. Risulta difficile inquadrarla in un tipo. Forse è un prototipo di donna del futuro o, all’opposto, un archetipo di donna del passato, quasi un essere mitologico, metà femmina metà qualche animale, probabilmente una fiera. E chi è lo psichiatra che narra in prima persona metà romanzo? È l’autore? Mah, chissà? In effetti, il racconto dello psichiatra nei capitoli in corsivo si alterna a quello diretto della samurai, ai ricordi che la donna rovescia addosso al medico in maniera alluvionale. Verità o bugie?

Prima, per novantadue giorni Veronica non aveva aperto bocca. Siamo a tre mesi dalla notte dell’incendio, annota il dottore. Uno trascorso tra la rianimazione e la chirurgia nell’ospedale traumatologico (nelle prime ore si disperava di salvarla dalle ustioni di terzo grado da calore sul corpo). Due nella clinica psichiatrica dove il magistrato e la Polizia l’hanno fatta trasferire. È rimasta sempre a bocca chiusa. Le infermiere che si sostituiscono ogni otto ore intorno al suo letto - pulendola, nutrendola, cambiando lenzuola e comunque sorvegliandola - non hanno mai ascoltato la voce, né hanno percepito un gesto. Fino a quella notte, dalla samurai non una sola parola, sul delitto o su alcunché. Personale e colleghi potevano dire solo “la paziente non parla”, anzi, “la samurai non parla”, come avevano cominciato a chiamarla tutti. Gli esami hanno escluso lesioni cerebrali o della glottide, non è nemmeno sorda. Semplicemente, da sessanta giorni esatti è in posizione semi seduta nel letto, con un grosso cuscino dietro la schiena. La salute è buona, come la qualità del sonno.

Ottenuto l’incarico di dirigere il settore, il medico ha fatto trasferire le due pazienti con cui divideva la stanza. L’ha raggiunta, con un registratore portatile, le si è seduto accanto e passo passo le ha descritto come erano andate le cose la notte di tre mesi prima. Ha rievocato “quel suo delitto”, basandosi sul resoconto dei pompieri e sui riscontri della Polizia. Al termine, ha acceso il registratore e dopo qualche minuto la samurai ha parlato, per la prima volta dopo l’incendio. Un racconto durato sei ore, nella notte tra il 1 e il 12 luglio 1997. La trascrizione è il racconto della donna, alternato nei capitoli in carattere tipografico tondo.

Aveva la pelle bianca, come di castagno, ma una sera, d’un tratto, erano comparse macchie rosse e le prime lesioni, sui gomiti e sulle ginocchia. Durante la notte il corpo si era coperto di “scoppi” rossi, che prudevano terribilmente. Infiammazioni, dal cuoio capelluto alla pianta dei piedi e la fronte segnata da unghiate. Nei giorni successivi, da una lamina porporina evidenziata sotto le unghie le due mani si erano colorate di cinabro. Disegnava acquerelli per riviste, musei, locandine dei film e incontrava uomini. Quelli vengono attratti anche da una donna coperta di bende, che nascondono pustole, orrori, una pelle rossa. Una donna che fa spavento. Veronica assicura che racconterà tutto di sé, di suo marito, di Milena, della setta, dell’assassinio. Racconterà ogni cosa. Non intende dire “meno che la verità”. Comincerà la confessione dalla volta in cui l’uomo - che avrebbe cambiato la sua vita - era venuto a trovarla a casa per la sesta volta. E dalla scena che non è ancora riuscita a dimenticare, anche se sono trascorsi tre anni.

È certa che i giornali scriveranno “della setta, della città dell’occulto, di un omicidio satanico, le solite sciocchezze per attizzare la curiosità del pubblico”. Qualcuno la odierà, altri proveranno terrore. Ma al di là di qualsiasi reazione, condanna o turbamento, si augura che venga riconosciuta la sua innocenza, anche per quanto è avvenuto quella notte. Chi mente, s’è vero che mente?

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La samurai

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