Da Nord a Sud, d’autunno sbocciano i festival e le fiere del design d’autore - Pambianco Design

2022-10-22 19:04:43 By : Ms. Selena wong

Lake Como Design Festival_ERRANTI, mostra collettiva a Palazzo del Broletto

Non c’è solo Milano a dettare la linea in tema di creatività: in tutt’Italia stanno prendendo quota eventi espositivi di nicchia ma non per questo meno ricchi di fermenti. Come i format di Como e Napoli.

di Fiammetta Bonazzi e Valentina Dalla Costa

Lo sanno bene i researcher più abili e navigati: per intercettare le novità, serve uno sguardo per certi versi un po’ strabico, capace cioè di posarsi sulle idee che s’incontrano al di fuori dei circuiti affollati dagli operatori del settore. Tradotto per il mondo dell’arredamento: non solo Saloni e Design Week. O meglio: sono passaggi imprescindibili che, tuttavia, andrebbero integrati con le visite a manifestazioni dove s’incrociano storie e oggetti di chi non appartiene necessariamente al macrocosmo della produzione su larga scala. Se è vero che Milano rimane la capitale indiscussa del disegno industriale e continua a essere epicentro e motore delle tendenze, bisogna riconoscere che lungo lo Stivale oggi pulsano nuovi gangli creativi che nel tempo hanno generato eventi esclusivi in contesti magari più piccoli o meno design-oriented, ma di certo non meno vivaci sotto il profilo della progettualità. Valga l’esempio del Lake Como Design Festival e di EDIT Napoli, due appuntamenti d’autunno giunti entrambi alla quarta edizione, nati in fase pre-Covid in città con anime e tradizioni diverse ma accomunate dalla volontà di trasformarsi in catalizzatori delle competenze e del savoir faire di ricerca. È anche grazie a iniziative come queste che è tornato in auge il concept della fiera intesa come occasione per scoprire il territorio, come luogo d’incontro fra creativi, artisti-artigiani e buyer e come fonte d’ispirazione per architetti e designer. È un modello forse controcorrente rispetto alla spinta globalizzante del mass market, soprattutto nella sua declinazione digitale. Che, se pure inclusiva e trasversale, mai potrà sostituire (ma solo integrare) il piacere di trovarsi in un luogo fisico, e in un tempo ben preciso, insieme ad altre persone. A maggior ragione dopo quasi tre anni di limitazioni dovute alla pandemia.

LAKE COMO DESIGN FESTIVAL ALLA SUA QUARTA EDIZIONE La prima ha aperto i battenti nel 2018, oggi siamo al quarto appuntamento con la rassegna che prende vita a Como, aperta e diffusa in tutta la città, dal 17 al 25 settembre. “L’idea è nata molto prima: già nel 2013 ho iniziato a ragionare sul format, perché la mia intenzione è sempre stata quella di unire il settore di cui mi occupo da anni, il design, e il patrimonio culturale della mia città”. Parole di Lorenzo Butti, ideatore e direttore del Festival, che dall’esperienza maturata come art director nel settore design e arredo, ha creato un ponte tra interior, design industriale e pezzi limited-edition, che vengono messi in dialogo con l’importante patrimonio storico e culturale di Como, fatto di stratificazioni che collegano il periodo romanico al razionalismo, passando dal liberty al neoclassico. “Questa città racchiude in sé una storia incredibile. Ragionando su come poterla valorizzare ho capito quale potesse essere la giusta chiave di lettura: utilizzare il design come medium e connessione tra i visitatori e i luoghi coinvolti ogni anno durante la manifestazione”. Il Lake Como Design Festival è cresciuto negli anni perché la sua è una formula vincente. Non solo seleziona luoghi storici dove esporre, ma crea dei veri e propri percorsi conoscitivi e di scoperta. “Basti pensare che più del 90% di chi vive a Como non è mai entrato all’interno della Casa del Fascio, nota opera razionalista di Terragni. Poter dare accesso a luoghi sconosciuti ai più fa la differenza. Abbiamo unito gli allestimenti all’interno di location storiche con l’ideazione di logiche di percorso precise, sviluppando per le ultime due edizioni anche degli itinerari condotti da guide specializzate e architetti. Il design in mostra è il mezzo attraverso il quale portiamo cultura nel territorio, un filo conduttore a contrasto con le diverse epoche e gli stili architettonici che incontra all’interno di dimore storiche, sale museali nascoste e residenze abitualmente chiuse al pubblico. Inoltre, la posizione di Como rispetto al distretto del design è strategica e parla di un’eredità fatta da architetti razionalisti come Terragni e avanguardie che includono Sant’Elia, per risalire nei secoli sino a Plinio il Vecchio. La mia idea era mescolare tutto questo, creando un dialogo aperto tra epoche differenti”.

LA VALORIZZAZIONE DELLA CULTURA PER IL TERRITORIO È UN VOLANO CHE GENERA INTERESSANTI OCCASIONI DI CRESCITA PER GLI INVESTITORI Non si vuole paragonare al Salone del Mobile, nonostante la vicinanza con il capoluogo lombardo. Il format è ben distante da quello di un impianto fieristico dove l’interesse primario è “fare numero”. “Quello che ci interessa è il legame diretto che siamo in grado di generare tra brand che credono nel nostro intento e il lago di Como, che da anni ormai è una sorta di marchio di fabbrica di questo territorio. Oltre alla sua bellezza, riconosciuta a livello internazionale, vogliamo far comprendere che una manifestazione di nicchia sul lago di Como, esclusiva, è in grado di generare cultura ed è certamente più interessante rispetto ad un mondo ormai saturo di apparenza e mero business.I vip e i clienti degli hotel di lusso vanno benissimo, ma in queste nostre aree c’è molto altro da raccontare: a un certo tipo di turismo che fluisce nell’area lariana ed è amante dello sfarzo si può dimostrare che un contrappeso contenutistico culturale di valore è possibile, e si può offrire a tutti, a qualsiasi livello e chiave di lettura. Basta volerlo”. Butti insiste anche sulla posizione logistica della città, che con il suo Festival e più appuntamenti ripresi durante l’anno potrebbe diventare punto di riferimento e forma di espressione del design in forte connessione con territorio e storia: “Como ha attorno a sé quattro aeroporti, siamo vicini al confine con la Svizzera e Milano dista 40 chilometri, a cui è collegata con un’autostrada e due linee ferroviarie. Avere attorno le montagne e davanti il lago fanno poi il resto. La miscela esclusiva che si crea è unica. Dal punto di vista degli investitori, serve cambiare prospettiva e non ricercare il guadagno economico derivato dalle vendite, piuttosto si pensi alle partnership possibili con hotel, altri brand e realtà presenti sul territorio, con i quali creare esperienza sfruttando il contesto in cui ci troviamo”.

EVOLUZIONE E IDEE PER IL FUTURO DEL FESTIVAL Dietro alla creazione di Lake Como Design Festival c’è Wonderlake, associazione culturale che realizza progetti culturali, editoriali ed eventi con l’obiettivo di promuovere, in Italia e nel mondo, un’immagine nuova e integrata di un territorio dalla forte identità. Per le edizioni future della manifestazione di settembre l’idea è quella di raccontare un territorio che si allarga oltre i confini della città, coinvolgendo dimore che affacciano sul primo bacino del lago. “Quest’anno abbiamo due collaborazioni con gallerie importanti: – racconta Butti – Galerie Philia, galleria internazionale di design contemporaneo e arte moderna con sedi a Ginevra, Singapore, New York e Mexico City, che ha selezionato alcuni designer contemporanei e artisti per far rivivere le sale di Casa Bianca, residenza storica aperta per la prima volta al pubblico; e Movimento Club, galleria nomade che promuove designer indipendenti, abiterà le sale di Villa Gallia con la mostra “In Search of Lost Time”. L’intento è di continuare a coinvolgere realtà simili per poter mostrare questi luoghi al pubblico, mettendoli in contrasto con progetti contemporanei”. L’evoluzione fatta nel tempo si legge anche nell’aumentato numero di location coinvolte, anno dopo anno: nel 2018 una mostra unica, nelle sale del Ridotto del Teatro Sociale, per poi aggiungere anche il Palazzo del Broletto, iniziando così un dialogo sinergico con la storia dell’architettura. “Per noi i primi due anni sono stati una sorta di esperimento, ma l’edizione scorsa ha aperto la strada verso un coinvolgimento sempre più attivo della città. Il Festival è una manifestazione diffusa, che si integra con Como stessa. Nel 2021 abbiamo aperto Palazzo Mantero raccontando non solo i brand esposti, ma anche la bellezza del luogo, progetto di laurea eclettico di Gianni Mantero, e Palazzo Valli Bruni, sede dell’Accademia Giuditta Pasta risalente all’epoca longobarda poi ristrutturato nel 1600”. Tutti ingredienti che portano al risultato di quest’anno, in cui il Festival si amplia e arricchisce ulteriormente. “A differenza di altre manifestazioni con un focus prettamente commerciale, vogliamo restituire al pubblico luoghi dimenticati o poco noti. Questo aspetto apre di molto il ventaglio di visitatori da poter coinvolgere”. Oltre all’espansione sul territorio, il Festival guarda avanti e si auspica di poter fare sistema con le realtà presenti in città, cercando di lavorare insieme verso un unico obiettivo. “Al momento è molto difficile, anche se la risposta da parte del Comune e della Regione è forte. Abbiamo percepito una volontà precisa nelle istituzioni, che è quella di voler contribuire all’apertura di nuovi musei e alla creazione di spazi sempre maggiori legati alla cultura. Sfruttando l’onda di notorietà e di fama del lago di Como si possono catalizzare investitori importanti per poter fare il bene della città, generando turismo esperienziale”. Anche i finanziamenti sono in evoluzione. “Il primo anno avevamo un patrocinio gratuito del Comune di Como, siamo arrivati ad aver vinto il bando della Regione Lombardia, quello del Comune di Como, e abbiamo la Camera di Commercio che ci finanzia, così come la Fondazione Cariplo, il patrocinio dell’università dell’Insubria, della Provincia, dell’Ordine degli Architetti e della Camera di Commercio stessa. Una risposta che ci fa capire come le istituzioni stiano riconoscendo finalmente il valore del lavoro fatto sino ad ora”.

CON EDIT NAPOLI IL DESIGN INDIPENDENTE TROVA CASA NELLA CAPITALE PIÙ ANTICA ED EFFERVESCENTE DEL MEDITERRANEO “Napule è ‘nu paese curioso: è ‘nu teatro antico, sempre apierto”. Nessuno meglio di Eduardo sarebbe riuscito a distillare, nel respiro tagliente dell’aforisma, l’anima di Napoli: città-palcoscenico, dove persone e cose trasformano lo spazio e il tempo in una continua e scintillante narrazione. Ed è proprio qui, nel capoluogo campano, in un contesto ancora relativamente vergine per quel che concerne il design, che nel 2019 è germogliata EDIT Napoli: una fiera pensata come un contenitore dedicato al design indipendente e slow, nata dall’intuizione della direttrice Emilia Petruccelli, titolare a Roma della Galleria Mia, e della storica del design e curatrice Domitilla Dardi, impegnate insieme a scoprire, selezionare e promuovere autori ed editori di design, creatori e produttori che privilegiano la qualità e la ricerca rispetto alla quantità. La quarta edizione dell’evento, in programma dal 7 al 9 ottobre, ruota come di consueto intorno al Complesso monumentale di San Domenico Maggiore per poi abbracciare alcuni spazi-simbolo dell’immaginario partenopeo, dalle Chiese dei SS. Filippo e Giacomo e di Santa Luciella ai Librai, dall’ex Convento di San Caterina al Parco di Capodimonte. “Sono quei luoghi magici che Napoli ci mette a disposizione generosamente, con il calore e la spontaneità che si trovano solo in questa capitale del Mediterraneo così vivace e appassionata”, dice Domitilla Dardi, che in EDIT Napoli ha trasfuso il suo know how frutto di esperienze come il coordinamento della sezione design di Miart e la curatela per il Design MAXXI-Architettura a Roma. “La nostra manifestazione non è un festival e nemmeno una mostra dedicata al collectible. La formula l’abbiamo affinata con Emilia a partire dalla seconda edizione, importando in una fiera di settore le specificità delle fiere d’arte. In effetti, il fulcro di EDIT è lo spazio riservato agli espositori – che quest’anno saranno una settantina – nelle sale di San Domenico Maggiore, dove arriva un pubblico specializzato composto soprattutto da buyer internazionali, interior designer e architetti che vanno a caccia di arredi e complementi inediti, non di massa, non da catalogo e nemmeno da collezione. I lavori presentati dai partecipanti vengono poi valutati da una giuria di esperti del settore, che offre ai vincitori la possibilità di tornare a esporre anche l’anno successivo a Napoli e all’interno di Padiglione Brera, in occasione del FuoriSalone di Milano”.

IL NUOVO UMANESIMO DELL’ARTIGIANATO D’AUTORE È DEMOCRATICO: NON PASSA DAI PEZZI UNICI MA ATTRAVERSO LE SERIE APERTE Edit Napoli, come si evince dal nome, è una fiera tagliata su misura per il design ‘editoriale’, un’etichetta che allude “alle serie aperte caratterizzate da alta qualità, materie prime speciali o di provenienza locale o trattate con metodi e tecniche di ricerca”, precisa Dardi. “Si tratta, in sostanza, di un alto artigianato creativo che deve garantire l’attitudine a essere replicabile. Ecco perché possono essere esposte solo edizioni aperte, non prototipi né pezzi unici, eppure non abbiamo inventato nulla: a pensarci bene, anche nell’antichità di un’elegante anfora etrusca esistevano svariati esemplari, ognuno però dotato di una sua unicità”. Non c’è bisogno di scomodare Walter Benjamin per avere la conferma – una volta di più – che l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica ha fatto passi da gigante anche grazie alle suggestioni che filtrano dall’universo digitale e dal Metaverso (dove peraltro si sta assistendo alla crescita di un neo-collezionismo di tirature limitate in Nft), che ancora non sono riusciti a soppiantare l’umanissimo fascino dell’handmade. La vicendevole contaminazione fra mondi affiora soprattutto nelle produzioni degli under 30 ai quali, all’interno di EDIT Napoli, è riservata la sezione SEMINARIO, sorta di incubatore dell’art-design di domani, mentre in CULT – un programma di mostre non commerciali che ha lo scopo di aprire al pubblico e di valorizzare alcuni dei luoghi più prestigiosi di Napoli, creando connessioni fra i grandi interpreti del progetto e lo spazio urbano – vengono invitati autori di fama già consolidata. “Quest’anno”, annuncia la curatrice, “avremo Allegra Hicks che espone un enorme arazzo serico, dal titolo ‘Divinazione’, nella chiesa dei SS. Filippo e Giacomo, il complesso un tempo sede dei maestri dell’Arte della Seta, mentre Michele De Lucchi sarà alla chiesa-museo di Santa Luciella con le sue ‘Casette delle Pezzentelle’, un’opera site specific composta da tante micro abitazioni in legno colorato pensate idealmente per dare un riparo alle anime dei defunti di identità sconosciuta, cui la chiesa è consacrata”. Torna anche, e per la seconda stagione consecutiva, House of Today, “un’organizzazione senza scopo di lucro nata con la missione di identificare, guidare, promuovere e collegare i designer di prodotto libanesi con gli esperti di design, e a Palazzo Venezia sarà presente l’artista libanese Rumi Dalle, che ha deciso di collaborare con Teresa Cervo, artigiana napoletana della cartapesta, per realizzare una serie nuove opere di contenuto performativo”. All’Istituto Caselli Real Fabbrica di Capodimonte, invece, è attesa la presentazione del restauro del giardino didattico interno, portato a termine grazie all’asta solidale dei prototipi della collezione ‘Hybrida’ firmata da Patricia Urquiola e organizzata in collaborazione con Christie’s, mentre tra i fuoriclasse dell’alto artigianato internazionale, a Napoli non poteva mancare Piet Hein Eek, che con ‘Parallels’ esporrà i suoi arredi in legno da riuso alla Fondazione Made in Cloister, nell’ex convento di Santa Caterina, insieme a un gruppo di giovani designer olandesi legati come lui ai valori della sostenibilità.

LA FIERA E’ UN MOMENTO DI INCONTRO, DI SCAMBIO INTERPERSONALE E DI ESPERIENZA “Piet è uno degli autori che meglio rappresentano lo spirito di EDIT, che fa leva sulla valorizzazione dell’arte del fare, perché da sempre lavora secondo una spirito di bottega: un format che andrebbe recuperato e sviluppato soprattutto in un Paese come l’Italia, che nel corso dei secoli ha sempre brillato per l’inarrivabile competenza artigianale prima che i designer facessero il salto di scala, industrializzando il progetto”, conferma la curatrice. EDIT Napoli, d’altro canto, è nata e cresciuta con l’intento di funzionare come un link che mettesse in comunicazione creatività di ricerca e industrial design: un pensiero un po’ novecentesco (forse), ma proprio per questo molto attuale e profondamente vero e reale, così come è concreta e sempre valida l’idea che per conoscere sul serio il prodotto lo si debba osservare, toccare, accarezzare, annusare, talvolta ascoltare. “In questa fase storica c’è una gran voglia di recuperare occasioni d’incontro autentico, di confronto e di scoperta”, commenta Domitilla Dardi, “e anche a questo serve EDIT. Che oltre a essere una festa per gli occhi e per tutti gli altri sensi, si propone come un momento unico di connessione interpersonale che educa alla scelta. EDIT è una narrazione che comunica gioia di vivere, un colorato affresco di cose che popolano gli ambienti in cui vorremmo abitare. Noi, del resto, siamo gli oggetti di cui ci circondiamo, ma la vera sostenibilità, che oggi ormai è un plus che genera interesse e orienta l’acquisto, non è una questione di etichetta stampigliata sul packaging: è sostenibile il prodotto che arriva da una filiera corta e trasparente. Ancora meglio se c’è il suo artefice a raccontarcene la storia”.

Per un’azienda l’attenzione ai costi rappresenta un esercizio costante e necessario, che fa parte di quel concetto che si può...

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